La relazione d'aiuto in pedagogia

La relazione d’aiuto in pedagogia è una pratica finalizzata allo sviluppo delle capacità del soggetto, il quale ha il privilegiato compito di “imparare a educarsi” al cambiamento, di appartenersi, di autodeterminarsi e divenire così unico protagonista del proprio divenire.

Il cuore della consulenza pedagogica è proprio la relazione.
L’incontro tra professionista e cliente si basa sull’ascolto attivo, l’empatia, l’uso di specifiche domande, la comunicazione assertiva, la riformulazione del problema e il rispecchiamento. Attraverso questo dialogo, l’utente è guidato ad assumere nuovi punti di vista e a cercare soluzioni alternative alle sue difficoltà, soluzioni che spesso non si riesce a trovare da soli. 

Compito del pedagogista non è quindi fornire soluzioni già pronte o elaborare una diagnosi, ma agevolare nell’utente la nascita di nuovi percorsi mentali e di azione. (Simeone, 2011)

Secondo la definizione di Carl Rogers, la relazione d'aiuto è:

«una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. L’altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione».

(1951)

Che differenza c'è tra relazione d'aiuto e relazione terapeutica?

  • Nel caso della relazione terapeutica è implicito un riferimento a una fisiologia che, in seguito a delle alterazioni, richiede un intervento che possa ristabilirla e riportarla ad uno stato di normalità. Tale compito è di competenza del psicoterapeuta. Si tratta, infatti, di una relazione che vede da una parte il medico o lo psicologo (con titolo di psicoterapeuta) e dall’altra il paziente e presuppone un lavoro di tipo introspettivo finalizzato a ristabilire un equilibrio mentale (sciogliere nodi interni, risolvere questioni irrisolte, affrontare dei traumi, elaborare fatti accaduti nel passato, lavorare sulle fobie ecc.).
 
  • Nella relazione di aiuto la “normalità” non esiste. Esiste l’unicità ed è su questo aspetto che lavora il pedagogista e tutte le altre professioni definite, appunto, “d’aiuto”. La persona (non paziente!) viene accolta per ciò che è e si interviene affinché raggiunga quello stato di benessere che considera giusto per se stessa. Non esiste, infatti, un benessere oggettivo a cui tendere. Nella vita ognuno deve imparare a riconoscere ciò che gli suscita piacere, serenità, gioia. Che sia la famiglia, un determinato lavoro, l’amore e via discorrendo. La relazione ha in questo caso l’obiettivo di portare a galla le risorse interne e impiegarle nel miglior modo possibile nel mondo circostante.

    Franco Blezza afferma: «per il Pedagogista non esiste concettualmente lo stato di normalità comunque considerato» perché il pedagogista sa riconoscere e salvaguardare l’unicità, l’originalità e l’identità della persona in tutte le sue declinazioni e promuovere il potenziale intrinseco per assicurare all’individuo le migliori condizioni di vita. 

Ricapitolando

La relazione d’aiuto è una strategia di intervento finalizzata ad aiutare la persona in stato di bisogno a definire il problema evolutivo e a imparare a gestirlo. Può trattarsi di un problema personale, sociale, relazionale, familiare o lavorativo.
Il presupposto di partenza è che, a prescindere dalle condizioni dell’individuo e della sua capacità o meno di trovare da sé delle soluzioni adeguate, conserva delle risorse interiori emotive, affettive e cognitive. 

È compito del pedagogista riattivarle, portarle a galla e renderle evidenti alla persona affinché impari a sfruttarle al meglio e con la giusta consapevolezza. 

Se, quindi, ci sono degli aspetti della tua vita che vivi come dei “problemi” e intendi lavorarci per migliorarli, potresti richiedere il supporto del pedagogista.

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